Teatro Rasi

Le origini del Teatro Rasi risalgono alla chiesa monastica di Santa Chiara costruita nel 1250 e trasformata in cavallerizza durante il periodo napoleonico. L’edificio è stato convertito in sala teatrale nel 1874, inaugurato nel 1892 e nel 1919 intitolato a Luigi Rasi, attore, drammaturgo e storico teatrale ravennate di fine ottocento. Di Santa Chiara rimangono la facciata, oggi ingresso del teatro, e l’abside, incastonato nell’area scenica. Gli affreschi del Trecento riminese che occupavano le volte dell’abside sono esposti al Museo archeologico della città.
Dal 1991 il Rasi è sede di Ravenna Teatro, che ha allestito i propri uffici al piano galleria e che lo gestisce attraverso una convenzione con il Comune di Ravenna. Dotato di una sala all’italiana, con platea e galleria, per un totale di 431 posti, il Teatro Rasi ha un palco attrezzato di tot metri quadrati e cinque camerini. Il foyer è diviso in due spazi: la saletta Mandiaye N’Diaye e l’area del ristoro, entrambe affacciate su un giardino. Ravenna Teatro si è impegnato in due interventi di ristrutturazione, nel 2000 e nel 2007.
Si svolge al Teatro Rasi una grande parte delle programmazioni curate da Ravenna Teatro e vi nascono le produzioni del Teatro delle Albe e della Drammatico Vegetale.
LUIGI RASI RACCONTATO DALLO SCRITTORE FRANCO GÀBICI
Attore e scrittore di teatro, Luigi Rasi nacque a Ravenna il 20 giugno 1852 e fin dall’infanzia dimostrò la sua particolare propensione per la recitazione, tant’è che a soli vent’anni lo troviamo a far parte della compagnia Pietriboni-Rasi; però egli non fu solamente un grande attore, ma anche un apprezzato scrittore e traduttore di classici greci e latini. A Rasi, infatti, dobbiamo la trascrizione del Pluto di Aristofane e dell’Antigone di Sofocle.
Per queste sue doti di autore e scrittore nel 1882 viene nominato direttore della “Scuola di recitazione” di Firenze, incarico che conservò fino alla morte. Fra gli allievi di Rasi si ricorda anche lo scrittore Marino Moretti, che poi abbandonò il teatro per dedicarsi completamente alla letteratura.
Alla Scuola di Rasi si formarono attori famosi, fra i quali vanno ricordati Amerigo Guasti, Annibale Ninchi, Medea Fantoni, Edy Boresi-Picello e Teresa Franchini, la grande attrice romagnola che fu la prima interprete de La lampada sotto il moggio di Gabriele D’Annunzio. Fu proprio Rasi, forse in omaggio alla romagnolità dell’attrice, a lanciarla sulle scene fondando nel 1889 una compagnia che ben presto fu prelevata dalla Duse.
Rasi fu famoso anche come elegante conferenziere e le sue “Letture carducciane” gli dettero grande fama e successo.
Curando anche gli aspetti letterari del teatro, Rasi arricchì la sua Scuola di una biblioteca e di una specie di museo nel quale andava raccogliendo materiali e cimeli per ricostruire la storia del teatro italiano.
Fra le sue opere la maggiore resta sicuramente il Dizionario dei comici italiani, un’opera di grande interesse che scrisse insieme alla moglie Teresa Sormani e nella quale si trova un’incredibile quantità di notizie e di aneddoti. Rasi scrisse anche Il libro degli aneddoti, La lettura ad alta voce, La recitazione nella scuola e nella famiglia, L’arte del comico e anche un lavoro critico sulla Duse. Famosissimi i suoi monologhi che raccolse nei volumi Il libro dei monologhi e Il secondo libro dei monologhi. Di questi, La semplicità entrò permanentemente nel repertorio di Ermete Novelli, altro grande artista romagnolo.
A Rasi è anche associato un episodio curioso. Verso la fine degli anni Settanta del secolo passato il Comune di Milano fece conoscere la sua decisione di smantellare una parte del cimitero nel quale erano ancora conservate le ceneri di personaggi illustri precisando che se nessuno le avesse rivendicate sarebbero finite in una fossa comune. Oltre a Luigi Rasi figuravano i nomi dei librettisti verdiani (tra cui Piave) e anche del padre di Albert Einstein. Dal momento che Rasi non aveva eredi, il Comune di Ravenna si sostituì alla famiglia e preparò tutte le pratiche necessarie per far ritornare in patria le spoglie del suo illustre figlio che dal 1977 riposano nel famedio degli uomini illustri ravennati del cimitero monumentale insieme ad Angelo Mariani, Corrado Ricci e Filippo Mordani.
Sulla rubrica Istantanea del Marzocco (anno IX, n.17, 24 aprile 1904) apparve questo curioso profilo del Rasi:
“Il direttore della Scuola di recitazione è un’istituzione eminentemente fiorentina, sebbene tale non sia d’origine. Le Società cinofile italiane hanno in lui il più vivo avversario. Anche sulla sua soglia sta scritto: Cave canem! Combatte il cane e coltiva il comico in erba nei campicelli sperimentali di via Laura. Ma, nonostante le sue fatiche, qualche cucciolo talvolta si salva e diventa più tardi cane provetto, screditando un poco l’allevatore.
Da molto tempo non recita più; insegna e dirige, scrive e legge. Insegna, scrive, dirige a Firenze e legge un po’ dappertutto: ma sempre acclamato come mirabile interprete di poesia. Via Laura è la Mecca degli aspiranti al palcoscenico, che non essendo figli d’arte, cercano un padre spirituale nel Direttore della Scuola di Recitazione. Il suo ascendente sugli allievi è grande; con lui i tipi più impacciati diventano subito… franchini: perdono i difetti del nostro dialetto, sebbene qualche volta, per eccesso di zelo, acquistino qualche riflesso romagnolo in omaggio al loro Direttore. Nel quale è veramente la stoffa del maestro: una stoffa soprattutto di Rasi…”.
Fuori dalla ufficialità Rasi si dimostrava un tipo estroverso e burlone. Racconta Augusto Maiani, il famoso caricaturista che si firmava Nasica, che durante le vacanze Rasi, già in età matura, si rivolgeva alle belle ed eleganti signore del luogo dove si trovava a trascorrere la villeggiatura rivolgendo loro frasi enfatiche che gli intenditori riconoscevano essere famosissimi monologhi di autori classici.
Rasi morì a Milano il 9 novembre 1918. Nello stesso anno della morte Ravenna gli dedicò il teatro che dal 1891 era stato ricavato nella navata della chiesa soppressa di Santa Chiara (1250) in via di Roma. Chiuso nel 1959 per restauri, che furono eseguiti dall’architetto ravennate Sergio Agostini, il teatro è stato riaperto negli anni Settanta e dal 1991 è sede di Ravenna Teatro.