Area-Paese Campi profughi Saharawi

Dal 2002, la Regione Emilia Romagna coordina una progettazione strutturata nei campi profughi Saharawi, riconosciuti tra le aree prioritarie della cooperazione decentrata regionale. Nel 2003 anche il Comune di Ravenna inizia ad operare nei campi Saharawi, con il primo progetto di cooperazione decentrata co-finanziato dalla Regione Emilia Romagna; tale collaborazione, ancora attuale, con il tempo si è andata strutturando ed evolvendo.

La progettazione del Comune inizia come cooperazione decentrata di genere, lavorando con le donne e per le donne, nell’ottica di un sostegno all’autonomia femminile in senso lato. Il primo ambito d’intervento è stato quello dell’istruzione e della formazione, avviando corsi di formazione professionale in collaborazione con la U.N.M.S. – Unión Nacional de las Mujeres Saharauis (Unione delle Donne Saharawi), partner locale del Comune di Ravenna. A partire dal 2005, la progettazione del Comune di Ravenna si concentra prevalentemente sul settore sanitario, con particolare riguardo alla salute materno-infantile e riproduttiva. Tale scelta è frutto di diverse missioni istituzionali, realizzate con la collaborazione dei Ministeri e dei Direttori della Sanità Pubblica della R.A.S.D. – Repubblica Araba Saharawi Democratica, durante le quali sono state individuate esigenze e strategie di sviluppo. Dal punto di vista territoriale, l’intervento del Comune si inserisce nel quadro degli accordi di cooperazione che la Regione Emilia Romagna ha concluso con le autorità della RASD e si concentra pertanto nei campi rifugiati, prettamente nella wilaya di Smara. Nell’ottica di una costante restituzione alla cittadinanza ravennate degli interventi realizzati, si dedicano iniziative ed eventi che mirano a far conoscere la realtà dei campi profughi, i risultati della progettazione realizzata e le tematiche salienti.

Luogo di intervento

L’altopiano dell’Hammada è una delle zone più inospitali del deserto del Sahara. Situato a sud ovest dell’Algeria, vicino all’oasi di Tindouf, presenta un clima particolarmente ostile. In questa realtà si trovano i Campi profughi Saharawi, dove la popolazione profuga vive, costretta a fuggire dal Sahara Occidentale a seguito dell’occupazione marocchina del 1975 ed in attesa di un referendum per la propria autodeterminazione, di cui le stesse Nazioni Unite supportano la realizzazione attraverso la M.I.N.U.R.S.O. – Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un Referendum nel Sahara Occidentale, istituita nel 1991, ma ad oggi non si è ancora realizzato.

La sopravvivenza di questo popolo, che nei campi conta circa 170.000 persone, è strettamente legata alle relazioni con istituzioni internazionali (UNHCR, WFP, ECHO), governative (AECID, Cooperazione decentrata italiana…), enti locali, ONG e associazioni e comitati. La gestione degli aiuti umanitari, della definizione delle priorità e la sovrintendenza alle attività di cooperazione è affidata alle istituzioni saharawi, organizzate in Ministeri e autorità locali, e alla M.L.R.S. – Mezza Luna Rossa Saharawi, iscritta alla rete internazionale delle Croci e Mezze Lune Rosse e controparte saharawi per ogni azione di aiuto. Alcune condizioni ambientali, igieniche e alimentari hanno determinato un’elevata incidenza di patologie, quali la calcolosi renale, le epatiti virali, l’anemia, sulle quali il progetto intende massimizzare gli sforzi. La popolazione saharawi è la più scolarizzata dell’Africa: tutti i bambini saharawi frequentano la scuola. La sanità, a livello organizzativo, è strutturata in ospedali e dispensari di quartiere, che raggiungono in modo capillare tutta la popolazione: lavorare presso queste strutture garantisce, grazie all’appoggio degli operatori sanitari locali, adeguatamente formati, un partenariato forte per la realizzazione delle attività previste.

Parte della progettualità del Comune, da tre anni si realizza nell’area di Tifariti, presso i Territori Liberati del Sahara Occidentale, riferimento strategicamente e culturalmente fondamentale per i saharawi. All’inizio degli anni 2000 si previde infatti una fase di reinsediamento delle popolazioni locali in quest’area, in attesa del referendum di autodeterminazione indetto dall’ONU, e ancora sospeso. Sono state costruite le infrastrutture essenziali, viste anche le condizioni ambientali più favorevoli della zona, attraendo in tal modo quote di popolazione nomade, che comunque si distribuisce in un territorio di decine di chilometri di raggio. Pertanto, sono state individuate la sanità e l’educazione come assi prioritari per consolidare e favorire la permanenza delle popolazioni esistenti. Nel corso di progettualità precedenti, realizzate dalla Rete costituita presso il Tavolo Paese regionale e che avevano come fulcro la messa in opera della scuola, si è riscontrato che il bacino di utenza va oltre i nuclei familiari delle immediate vicinanze, dimostrando una sensibilità e risposta positiva delle popolazioni a questo tipo di intervento, fino ad un notevole aumento dei nuclei nomadi presenti nel territorio. L’attivazione di micro-processi produttivi (produzione di pasti, coltivazione degli orti, fornitura di carni, ecc.) crea sinergie e opportunità in precedenza inesistenti e aprono prospettive per attività compatibili e solidali.