2 percorsi alternativi per le vittime di sfruttamento ex art. 18 dlgs. 286/98 Ordinanza del Tribunale di Bologna

Vi segnaliamo una recente ordinanza del Tribunale di Bologna, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione cittadini Ue (giudice Angela Baraldi).

Chiarisce ancora una volta come per le vittime ex art. 18 dlgs. 286/98 il legislatore abbia previsto 2 percorsi “alternativi e solo eventualmente sovrapposti”: quello giudiziario e quello sociale.

L’elemento fortemente innovativo della norma, purtroppo lo è ancora, dopo oltre 20 anni dall’entrata in vigore della disposizione, è la scelta di tutelare in via prioritaria la persona che manifesta la volontà di sottrarsi ad una situazione di violenza e grave sfruttamento, “senza se e senza ma”. Non vi sono altri interessi da contemperare. La vittima di sfruttamento non è un pentito ed il permesso non è un premio in cambio della sua collaborazione.

Il progetto Ols di Ravenna aveva preso in carico la persona e presentato la proposta di permesso di soggiorno, ma la Questura aveva opposto un diniego. Il giudice chiarisce che la volontà di non denunciare non può essere sanzionata con il rifiuto del permesso di soggiorno, mentre ricade nella discrezionalità del Questore la valutazione della relazione sociale, che deve mettere in evidenza la gravità ed attualità del pericolo, e l’esigenza di tutela della vittima.

Molto spesso con un eccesso di realismo noi operatori ci convinciamo che “non ha senso far partire il programma di assistenza, tanto la Questura non rilascia il permesso senza denuncia”. Questo fatalismo è più pericoloso di tante prassi scorrette. Piuttosto impegniamoci nella redazione di relazioni che sappiano motivare il rischio concreto per l’incolumità fisica e psichica della vittima.

Leggendo attentamente l’ordinanza, estremamente chiara, appare evidente anche un’altra cosa: i percorsi ex art. 18 e quelli di riconoscimento della protezione internazionale sono paralleli sul piano del trattamento giuridico e possono incrociarsi solo sul piano sociale, dell’accoglienza integrata.

Il decreto di riconoscimento della protezione internazionale ha un valore ricognitivo di una condizione giuridica già esistente, che la Commissione Territoriale fa emergere, in modo quasi maieutico. Qui giocano un ruolo fondamentale le fonti internazionali, che individuano gli indicatori di tratta, e la vulnerabilità delle persone che pesa sugli elementi soggettivi della procedura. In tale contesto si inseriscono le relazioni sociali del sistema “referral”, come strumenti a supporto delle Commissioni territoriali, al fine di una valutazione accurata del ragionevole rischio di una ricaduta in circuiti di tratta della persona richiedente asilo, in caso di rimpatrio.

Le relazioni ex art. 18, che accompagnano invece la proposta di permesso di soggiorno inviata dall’Ente locale alla Questura, operano solo quando le vittime manifestano in modo esplicito la volontà di sottrarsi ai condizionamenti di un’organizzazione criminale ed aderiscono ad un programma di assistenza al termine del quale le attende di norma la condizione giuridica di lavoratore/trice migrante.

E’ pertanto un errore subordinare il riconoscimento dello status di protezione all’adesione ad un programma di assistenza ex art. 18-

(Ringraziamo per l’ordinanza l’avv. Perini e la coop. Cidas)

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