BACCARINI Stefania

“Un esilio di storie”

Ho sempre desiderato godere in pace la bellezza del mio giardino.

L’emergenza Covid-19 e la chiusura temporanea dell’azienda, mi permettono di riguadagnare questo piccolo angolo verde e, finalmente, gioire dei colori spavaldi della primavera in fiore e del giostrare indaffarato degli animaletti che lo popolano.

Dopo alcuni giorni di relativo relax, subentra, però, un senso di smarrimento e inadeguatezza.

La mattina, al risveglio, mi manca quasi l’aria.

Mio malgrado rimpiango il senso di appartenenza a dinamiche certe e conclamate.

Le giornate assumono, piano piano, colori e suoni ovattati.

Diserto i notiziari e anestetizzo le sensazioni, comprese quelle negative, perché la sofferenza fa sempre più male.

Quando ricevo la notizia del suicidio inaspettato di una giovane conoscente, non riesco quasi a piangere.

Vorrei scrivere parole adeguate a ricordarla, ma resto muta, e penso di essere un mostro.

Stabilisco, infine, una routine ferrea fatta di orari precisi.

Brevi passeggiate, lezioni on line di yoga, scrittura, preparazione dei pasti, pulizie, spesa, e il giovedì, acquisto della Settimana Enigmistica.

Il sabato mattina, invece, si va al forno per il bombolone alla crema, ed è una gran festa, anche se la fila di gente davanti è lunga.

In pochi guardano l’orologio. Quando hai tempo, non ti importa del tempo che passa.

Cerco di stancarmi il più possibile, e vado a letto tardi la sera, per evitare l’incubo dei risvegli notturni e dei pensieri pesanti.

I momenti di scoramento, però, arrivano bastardi e improvvisi come un temporale estivo. Un giorno scappo nella vigna del vicino, a piangere. La campagna attorno pare quasi zittirsi, in segno di rispetto.

A volte succede che un piccolo evento simpatico ne scateni altri: la telefonata di un’amica, un incontro inaspettato, un sorriso spontaneo. Questo concatenarsi di nuove situazioni mi costringe ad uscire un po’ dalla tana.

Perché so di essere molto ‘orso’, intimorita e scontrosa.

Metto, così, in fila tante piccole giornate ordinate e prevedibili, e sono ancora io, incredibilmente.

Quando, infine, annunciano il rientro al lavoro, un’ansia sconosciuta e imprevedibile mi assale.

Ce la farò? Cosa racconterò? Come vestirò dopo giorni di tute sportive? E i capelli?

La normalità mi spaventa, e l’esilio dei miei 39 giorni pare quasi un’oasi rassicurante.

Il primo giorno calcolo male i tempi, e timbro in ritardo, bloccata nella fila per la distribuzione delle mascherine.

Sempre più frastornata, apprendo della procedura di misurazione della temperatura, e divento parte di quelli del termoscanner delle 7:45 del mattino. Se va bene entri, diversamente torni in esilio, finché un test sancisce che sei in salute.

Di nuovo paura, quella paura insolente che toglie il fiato.

Ho un bisogno esasperato di scrivere per scardinare dalla mia anima questa dannata ansia, e tornare un po’ a respirare.

Una storia diversa aspetta di essere raccontata. Per fortuna.