DONATI Valentina

“Il negozio di porcellana”

La casa e il terrazzo erano pieni di fiori appassiti o rinsecchiti, quando il signor Xue Sun decise di uscire in tutta fretta, per acquistare vasi che probabilmente avrebbe continuato a riempire di nulla.

Percorse il lungo corridoio di ingresso abitato da vecchie lanterne cinesi rosse e canne di bambù ornamentali, fu scrutato da luci al neon intermittenti e si diresse verso il mobiletto del telefono per prendere le chiavi della vecchia utilitaria scassata. Si ricordò improvvisamente dell’assicurazione scaduta e si disse, fra sé e sé, che per quella volta sarebbe stato meglio per lui andare a piedi per evitare la multa dei Vigilanti della Sicurezza Pubblica.

Avrebbe dovuto fare in fretta, perché ormai era già l’ora del coprifuoco e non sapeva se ne sarebbe valsa veramente la pena, visto che ciò che doveva comprare non era nell’Indice Supremo dei Beni consentiti.

Era quasi l’ora del tramonto e l’ora del tramonto, per cinesi in quarantena in Italia, non era una buona cosa, soprattutto da quando si era diffusa la notizia della loro presunta responsabilità nella diffusione più letale del Covid-19. Ma al signor Xue, che nella lingua del Sol Levante significa “neve”, quella sera del 2031 era venuta improvvisamente di nuovo voglia di bellezza e avrebbe tanto voluto comprare un vaso di porcellana per riempirsi gli occhi di bianco candido e di riflessi perlacei che solo la porcellana bianco-blu del periodo Ming avrebbe saputo donargli.

La maniglia della porta era stranamente gelida, ma il signor Xue uscì di soppiatto, manomettendo il “lucchetto di sicurezza preventiva” e si diresse nel quartiere dei ricettatori, collocato tra il fiume e il muro di cinta.

Nel percorrere la città semi deserta, camuffato come un ninja per nascondersi all’occhio dei Vigilanti, si sentì una fitta al cuore, straniero in un mondo a lui ormai estraneo; attraversò la piazza e i quartieri un tempo abitati da facce gentili, passò di fronte al suo vecchio ristorante e ricordò. Gli vennero in mente il profumo degli involtini primavera preparati per i clienti, l’acquario di pesci all’ingresso, il bambino dispettoso che distribuiva molliche di pane, la signora grassa col cappello giallo che ordinava pollo alle mandorle.

Gli mancò la sua vecchia vita.

Arrivò “Dal vecchio Freddy” ed entrò attraversando un minuscolo buco della saracinesca, pronunciando la parola d’ordine: “Felicità”.

Si affacciò un omino baffuto e occhialuto, probabilmente quello stesso Freddy dell’insegna in facciata, che sorrise a Xue, lo abbracciò e gli disse, con altrettanta semplicità: “Amico mio, che sei venuto a fare? Che ti serve?”

“Vorrei un vaso di porcellana cinese, con disegni di bambù, uva e meloni”.

Il signor Xue prese il primo vaso che capitò tra le mani, pagò con ravioli al vapore e biscotti della fortuna, sentendosi ancora vivo.

Ripassò attraverso la saracinesca, andando a ritroso come un gambero e conservando il suo bel vaso in grembo, nascondendolo sotto il paltò di lana grigia.

Riattraversò la città sempre deserta, felice di essere sfuggito, ancora una volta, all’occhio insonnolito dei Vigilanti nella tiepida ora del tramonto invernale.