GOLLOBERDA Fadiola

“Meno dolore nel cuore”

Seduta sulla solita panchina di legno osservo il cielo azzurro senza macchie. Non una nuvola, nemmeno un aereo a viaggiare nei suoi spazi. Un insieme di raggi solari mi colpisce dritto sugli occhi provocandomi lo stesso effetto. Abbasso le palpebre e penso alla primavera ferita che stiamo trascorrendo.

«Non avrei mai creduto di vivere una situazione quasi simile all’epoca di mio nonno» si esprime mio marito con la voce quasi spenta. Non fa altro che portarmi indietro nel tempo, nella primavera del 1997, quando ancora vivevo in Albania; quando in aria volavano i colpi dei pushkë. Eh sì, dei fucili, delle pistole o dei kalashnikov… E se eri fortunato, ti prendeva la vita una pallottola che arrivava a sorpresa, dritta al collo, mentre eri seduto sul cortile di casa.

Una guerra causata da una crisi economica iniziata all’avvio della strategia dello schema Ponzi. L’intero Stato è diventato più povero di prima, economicamente ma soprattutto in termini di popolazione. Il prezzo lo hanno pagato oltre duemila persone, tra cui molte donne e bambini del tutto o quasi impreparati all’uso delle armi.

Pochi anni dopo, il tempo di procurare documenti falsi, e salgo sulla nave insieme ai miei genitori. Pagando milioni di lekë, una somma di denaro impercepibile per una famiglia di quei tempi, ce l’abbiamo fatta. Tutti i risparmi ci sono serviti per attraversare il mare e per conoscere l’Italia da vicino, con la speranza di un futuro migliore. La testa rimaneva girata alle spalle mentre i piedi buttavano i passi in avanti. All’inizio credi che tradire la tua patria rimarrà una sofferenza per l’anima. Ed è così che succede per la generazione dei miei genitori, di coloro che hanno le radici più in profondità nel cuore della propria terra. Riguardo alla mia, si è più portati ad adattarsi con estrema facilità, pur seguendo i propri usi e le tradizioni, a una nuova terra che sa ospitarti col sorriso, la gentilezza, l’educazione, il rispetto. Continui a crescere da bambino e adolescente bussando sul portone di un’altra cultura. Ti laurei e poi ti metti in tasca la sapienza. Così, s’intrecciano e si uniscono i valori di vite partorite in territori diversi.

Questo viaggio necessario è diventato, per me, una ricchezza. So che oggi non posso fare a meno del profumo della piadina romagnola o delle tagliatelle al ragù, ma al contempo non posso dimenticare il sapore che ha nutrito gli anni della mia infanzia, quello del burek, la pasta sfoglia della torta salata.

Oramai sono anch’io una mamma, e non posso e non voglio lasciare spazio al dolore. A mio figlio devo cercare di trasmettere il sorriso, la serenità, anche se viviamo di una libertà limitata dietro a una mascherina.

La situazione che stiamo vivendo non è una guerra di armë zjarri, niente armi da fuoco, ma dentro il corpo. Ciò che le accomuna è rubare le vite alle persone, quello che fa la differenza è che oggi abbiamo un solo nemico universale, invisibile. Potente perché è stato capace di chiuderci dentro a quattro mura, spingendoci a condividere la vita tramite un’amica globale, la tecnologia. Mai come adesso abbiamo sentito il bisogno della sua presenza. Ci ha diviso un semplice schermo durante un aperitivo, una conversazione con i nostri cari. Abbiamo cantato e scherzato a distanza.

Ora abbasso la testa, apro gli occhi. Nessuna voglia di ascoltare la panchina. Tocca anche a me parlare, ogni tanto.

E stavolta non viaggio oltre quelle mura, ma dentro l’affetto caloroso della mia famiglia. Stringo forte loro tra le braccia, e sento meno dolore nel cuore per chi mi manca.