MELONE Giuseppe

“Quarantena di un giovane amore”

Quando la televisione annunciò l’inizio delle misure di distanziamento sociale obbligatorie, a causa del propagarsi ormai pericoloso del Coronavirus, Alex era a casa, insieme ai genitori, il nonno ed i fratelli, e quella notizia, passata su tutti i media e i videogiornali, pareva una cosa buttata lì, come tutto il flusso di notizie che ormai invadeva le giornate, e sulle quali ci si soffermava ancora poco, al volo; d’altra parte lo scenario ormai globalizzato e sempre più smart della vicenda umana, pronta a metabolizzare qualunque notizia o accadimento, certamente non consentiva spaventi più di tanto per un virus, che da paesi lontani, sembrava provocare qualche anomalo focolaio di infezione e malattia.

Insomma la cosa ancora non penetrava nelle vite vissute, ed anche Alex continuò a fare le sue cose, ad ascoltare musica, a suonare la sua chitarra, a chattare e navigare sui social, a prepararsi per la scuola, a decidere cosa indossare per far colpo su quella ragazzina che spesso lo guardava.

Ma quella stessa giornata fu ben presto caratterizzata da un successivo evento, quella stessa sera, quando in tv le istituzioni della nazione annunciarono che, per alcune settimane, ci sarebbe stato il lockdown, e cioè una misura di sicurezza che prevedeva la chiusura totale di tutte le attività economiche e commerciali, con il blocco degli spostamenti, il distanziamento fisico tra le persone, e anche il fermo della scuola.

Primo empito di Alex? Un grande sussulto di gioia, come quando nevica, o c’è uno sciopero, come quando accade qualcosa di non ordinario che travolge i normali assetti, si impone sulla quotidianità, e lascia più spazio a temporanee nuove forme di comportamento, effimere, lunghe poco più di qualche giorno, ma che aprono allo svago, a far decadere l’onere degli impegni immediati, insomma a quel poco di libertà improvvisa e quindi tanto più piacevole da gustare, e soprattutto frenava gli impegni scolastici.

Era una notizia nuova, del tutto insolita, e anche gli sguardi attoniti dei genitori, per una volta, rendevano tutto più democratico tra loro, con tutti sullo stesso piano nel discutere del nuovo che avanzava. Per Alex subito grandi contatti con gli amici e compagni di scuola, grandi commenti, propositi per la gran quantità di tempo libero che ne sarebbe scaturita, subito video sarcastici, chat, immagini, foto, commenti improvvisati e vagheggianti, pensieri, argomentazioni, ma il tutto sullo sfondo di una quasi incredulità, giocosità, rispetto ai pur ventilati scenari possibilmente catastrofici ed apocalittici. D’altra parte, come ormai accadeva sempre, tutto sarebbe ben presto risultano omogeneizzato nel grande smaltitore e liquidatore di cose e vicende umane, in un conglomerarsi continuo di eventi, sensazioni, momenti di vita, che nel tempo rapido dello spegnersi della notizia, sarebbero stati derubricati a cosa comune, scontata. Ma quella volta non sarebbe stato proprio così!

Cominciarono, infatti, le domeniche a casa, precedute dai sabato sera a casa, la fine degli hobbies e degli interessi praticati, la fine degli incontri tra amici e parenti, insomma, la fine di tutto. Le giornate iniziarono ad assumere una strana cadenza monotòna, con appuntamenti cadenzati dei media che raccontavano di morti e contagi, e rendevano tutto drammaticamente più vero e tangibile, e qualche ambulanza del 118 ferma, sotto casa, o nelle vie a fianco, a far sentire come tutto fosse vicino, possibile, incombente, senza se e senza ma.

Il virus si andava facendo largo nella società, negli ambienti più disparati, con approccio democratico e trasversale, senza esclusione di ambiti, e stava portando sconquassi generali nelle vite delle persone; tutto si era d’improvviso bloccato, come in un fermo immagine, nel quale ciascuno resta fisso nella propria condizione, con i propri caratteri ed i propri limiti, con quel senso di non più movimento che non ha più nulla di dinamico, e forse non porterà più a nulla. Tutto improvvisamente aveva trovato un necessario momento di reset senza però ripartenza, con l’unica variabile comunicativa attraverso l’unico modo attualmente possibile di relazionarsi, e cioè quello veicolato dai social e dai media, senza più potersi vedere incontrare, stare insieme, facendo saltare gli assetti, le abitudini e le relazioni umane. Una sempre più drammatica fotografia di un momento sospeso, nel quale le vite di tutti si erano fermate, attonite, in attesa di un risveglio che cominciava a non vedersi più così imminente ed agevole.

Ma Alex era solo un ragazzo, e tutto quanto intorno lo toccava ancora molto poco, e così, quando, in uno di quei giorni di quarantena, suo nonno lo chiamò per dargli un piccolo incarico, come spesso accadeva, la cosa non gli era parsa anomala, ma quando sentì chiedersi di fare da messaggero, alla vecchia maniera, per una anziana signora che viveva in un altro dei palazzi del parco dove vivevano, cominciò a farsi qualche domanda. Le giornate stavano gradualmente perdendo la sostanziale cadenza di prima, con limitazioni nei movimenti e nei rapporti con gli altri, che diventavano più cauti e “distanti”.

“Beh, certo che il nonno è proprio strano”, si diceva, allora, mentre recava stretto nel pugno quella lettera che avrebbe dovuto consegnare, secondo le direttive del nonno, alla nipote di quella signora, che l’avrebbe atteso sulle scale del palazzo di fronte.

Inizialmente non aveva dato peso al fatto che avrebbe incontrato una ragazza, e nemmeno si chiedeva chi e come fosse, e perché non la conoscesse già, ma si trattava di una famiglia che solo da poco tempo era andata a vivere lì.

“Chissà chi è questa signora, e che avrà da spartirci mio nonno con questa?”, si ripeteva, nel mentre si portava sotto il palazzo, superando la barriera del portiere che gli intimava di rispettare i limiti di spostamenti del coronavirus.

Giunto nell’androne del palazzo, gli si fece incontro una bellissima ragazza, che, con fare lieve e disinvolto, si rivolse a lui per farsi dare la lettera del nonno. Era bella, profumava di freschezza, la sua pelle era rosa, gli occhi vispi e verdi sprizzavano lampi di vivida intelligenza e prontezza, i capelli erano lunghi e le accarezzavano le spalle. Era alta, sinuosa ed emanava un fascino che lasciò Alex senza parole. Le consegnò la lettera e chiese appena, balbettando, se ci fosse risposta, come gli aveva detto di fare il nonno.

La ragazza, molto più a suo agio, gli si buttò incontro e nel dargli un bacio sulla guancia, si presentò. “Ciao, tu sei il nipote di Peter? Hai portato il messaggio per mia nonna Ester? Ok dai, ci vediamo stasera sempre qui, per la risposta”, e poi gli ridiede un bacio e risalì agile le scale verso casa sua.

Alex restò attonito, ancora lì per qualche minuto, passandosi la mano sulla guancia, e rivivendo quell’attimo che solo adesso riusciva gradualmente a rimettere in fila, e così assaporava il piacere di quel momento che mai gli era capitato prima. Ritornando a casa ripensava ancora alla cosa, e sorrideva da solo, e James, il portiere sempre invadente, gli diede uno scappellotto e gli disse “Ah, ti piace Ellen, la nipote di Ester?”, e lui, sorridendo e forse un po’compiaciuto, si allontanò, sempre più riflettendo.

Con quel suo dire James gli aveva fornito due importanti notizie: il nome della bellissima ragazza, ed il fatto che fosse notorio che suo nonno e Ester avessero un qualche legame sentimentale per il quale lui fosse finito a fare da messaggero. Ma la cosa, stranamente lo prendeva e forse gli piaceva.

Andò a casa, e corse dal nonno, e volle subito sapere di più di quella storia. Il nonno era un personaggio vulcanico e pieno di vita e di interessi, e aveva anche tanto vissuto, e tra i tanti racconti gli spiegò che Ester era stata una sua vecchia fiamma, e che solo casualmente l’aveva incontrata al parco vicino casa, e si erano così riconosciuti ed avevano ripreso a frequentarsi per colmare le loro solitudini. Avevano entrambi avuto una vita fatta di esperienze ed incontri, ma, nel rivedersi, avevano ritrovato il piacere di fare cose insieme, accompagnandosi vicendevolmente in piccoli momenti quotidiani, comunque tenendosi buona compagnia, ricercando in ogni momento un’occasione per passare del tempo insieme, e forse, amandosi nuovamente, ancorché in un tempo ed in un modo molto diversi.

Era stato un bel racconto, ma, almeno al momento, Alex non gli aveva dato particolare peso, fino a quando il nonno non lo richiamò per dirgli di andare a ritirare la risposta, e di quanto fosse per lui importante poter leggere le parole di lei, che traducessero in concreti sentimenti quei gesti che oramai costituivano l’unico scambio, muto, di effusioni e sorrisi, nel poterla intravedere solo da lontano, come sagoma, muoversi lentamente da una finestra all’altra dei due palazzi non molto vicini. Così, per una colta si intrattenne e si mise a spiare il nonno: gli scambi di sorrisi, i gesti di rimando, le effusioni, i saluti da lontano, dalle due finestre, erano un rituale di corteggiamento bellissimo. Alex era ipnotizzato, non capiva ancora bene cosa fosse quell’amore che trovava occasioni di realtà e piacere in attimi anche così fugaci, ma la gioia negli occhi del nonno, nei sui racconti, la smania da ragazzino con cui anelava la risposta, certamente dovevano entrarci qualcosa, e forse qualcosa iniziava a muoversi anche dentro di lui, man mano che collocava quello che iniziava ad essere un rituale di incontro con Ellen in quello scenario sempre più piacevole e nel quale stranamente avvertiva di voler ormai avere un ruolo molto più da protagonista. La frase del nonno “avrò avuto più o meno la tua età quando l’incontrai” riecheggiava nella mente di Alex ormai reiteratamente.

Così si rimise a pensare ed a riflettere sull’accaduto, e nel rivedere la sequenza di immagini di quel breve incontro, stranamente vi collocò anche le figure dei due nonni, e rilesse tutto in chiave più organica, più autentica, leggendo finalmente nel profondo cosa volesse dire quel rapporto epistolare tra i due cari vecchietti, ancora mossi da tanta passione; e si sentì allora pronto per un nuovo incontro, era entrato nel ruolo, e con nuova consapevolezza si avviava a ritirare la risposta al messaggio del nonno, sempre più preso dal senso di rilevanza di quella relazione, al quale con piacere faceva da messaggero.

Gli incontri che seguirono, per le consegne dei messaggi, furono sempre meno rapidi, e ad ogni consegna ne scaturiva qualche sorriso in più, qualche parola in più, sua o di Ellen, ad ogni saluto prevaleva la sensazione ormai chiara e reciproca di essersi perso qualcosa, di non aver detto tutto, e una singolare smania di subito rivederla ormai pervadeva Alex. Sapeva che avrebbe dovuto iniziare a domandarsi cosa gli stesse accadendo, ma per intanto preferiva seguire quel sempre più piacevole volgere degli eventi.

Aveva, forse subito, ma certamente ormai, capito che Ellen gli piacesse molto, e singolarmente quasi iniziava a vedere, con improvviso piacere, una trasposizione all’oggi, in loro due ragazzi, dell’amore tra il

nonno e Ester, e questo lo faceva stare bene, e gli fece passare molti pomeriggi in estasi, a pensare ed immaginare il suo amore con Ellen, le passeggiate, le gite, le cose belle da fare insieme. Si immaginava al mare, in viaggio, a scuola insieme, a suonare e cantare, e ormai, insomma, la ritrovava improvvisamente, dopo solo pochi giorni, inserita come figura preponderante e nuova in tutte le scene dei ricordi della sua vita di ragazzo, dove mai prima c’era stata una figura di ragazza che occupasse così tanto il posto dei sentimenti nel suo cuore e nella sua mente.

Si stava facendo l’orario di un nuovo incontro con Ellen, e Alex, come mai prima, sentì di dover essere più pronto del solito, e quindi si lavò integralmente – come non faceva spesso -, scelse il suo jeans preferito e quella maglietta che gli faceva vedere le spalle larghe, e poi rubò un po’ di profumo a suo padre, quello dai toni forti, un dopobarba, ma senza barba, e scese, sicuro di sé, ripassando in mente tutto quello che le avrebbe detto. Sapeva che ormai l’avrebbe voluta conoscere di più e meglio, che non gli bastavano solo le poche parole dette sulla soglia del portone, che l’avrebbe quindi tratta a sé e l’avrebbe baciata nel saluto – si, questo era già un suo preciso monito -, e che poi le avrebbe chiesto di uscire. Erano certo spavalderie della vigilia, ma un po’ ci credeva. Però poi no, uscire non si poteva, e allora le avrebbe chiesto di passeggiare insieme nel parco di casa. Ma no, nemmeno questo si poteva fare. E allora l’avrebbe invitata a mangiare un panino, o al concerto del suo gruppo. Ma no, no, no, nemmeno questo, per il maledetto virus. Purtroppo tutti gli ambienti, le modalità, i rituali, che, per quanto poco conoscesse, aveva visto fare e che voleva imitare, per far colpo su di lei, non erano alla portata. E allora si mise a riflettere; doveva esserci un modo anche in quarantena, per vivere i momenti che ormai anelava, e non gli rimase così che immaginare una unità di tempo e di luogo nel quale tutto potesse essere possibile, e singolarmente tutto era lì a portata di mano, sotto quel palazzo, dove c’era la sala delle riunioni condominiali, certo non una reggia, certo non romantica, ma che forse avrebbe potuto fare al caso, per farli intrattenere almeno un po’, lì, almeno per parlare, per conoscersi. Si, lì poteva certamente andar bene! Doveva andar bene!

Si incontrarono, e Ellen, sempre gioviale, gli diede la lettera di risposta per il nonno, era una busta colorata, e quella volta vi si leggeva chiaro “Per il mio amore”. Alex si vide improvvisamente davanti l’immagine della figura del nonno, avvolta da nuova luce, e questo gli diede una strana spinta interiore, e, senza sapere come e con quale forza, ecco che aveva già preso Ellen per mano e la condusse nella sala sottostante: “Vieni come me” le disse, “c’è un posto dove potremo stare un po’ da soli e parlare”.

Quella sua sicurezza aveva molto colpito Ellen, che si lasciò portare, con la naturalezza che c’è nei gesti e nei rapporti di lunga data, e si sedettero quasi naturalmente su un divano un po’ malmesso che campeggiava al centro della sala. Prima di dirsi di loro, la premessa sui nonni fece da facile apertura, ed Ellen gli parlò di Peter e di quanto fosse speciale e di come sua nonna ne fosse innamorata, e raccontò ad Alex sempre più dettagli della freschezza di quel rapporto, che dimostrava di ben conoscere da tempo. Alex ascoltava con interesse, e dalle scene, sorridendo, cercava di collocare e raffigurarsi il nonno in quei panni e gesti che mai prima gli avrebbe attribuito, e nel farlo gli era sempre più caro.

C’era una singolare atmosfera, fatta delle narrazioni di un altro amore, quello dei due nonni, che però pervadeva tutto, e generava emozioni che invece erano via via appannaggio di questo nuovo amore che stava forse germogliando tra i due. Anche Ellen era visibilmente presa da quel ragazzo più giovane, che difficilmente avrebbe notato in condizioni normali, ma che ora le interessava, forse perché in quella surreale condizione. Così i racconti sui nonni finivano per stimolare anche loro pensieri ed immagini, che però non potevano trovare sceneggiatura in luoghi, posti e occasioni diverse da quella angusta sala, che era tuttavia diventata il teatro della rievocazione delle scene d’amore dei nonni, che i due giovani avevano preso a interpretare, quasi teatralmente, in un gioco di ruolo, durante i racconti. Gli episodi erano tanti, ed Ellen li conosceva tutti, e così seguirono giorni bellissimi, nei quali ciascuno dei due assumeva il ruolo del rispettivo nonno, e si atteggiavano come se fossero loro, replicando momenti dei loro incontri, per come sia lui che Ellen se li erano fatti poi via via raccontare dai protagonisti, che, a loro volta, forse nemmeno tanto sorpresi, molto amorevolmente si erano lasciati andare ai ricordi e molto piacevolmente li avevano affidati alle due, in fondo, giovani propaggini e riedizioni del loro stesso essere.

Spesso le lettere dei nonni fornivano nuovi dettagli, e finivano per essere il copione della trama che i due, molto divertiti, rileggevano e interpretavano, talvolta portando anche i loro abiti, e via via fino ai gesti sempre più intensi e intimi.

Ma i giorni passavano, e ora i protagonisti erano loro, e così i gesti e le volontà erano ormai i loro, che, nel ripercorrere il copione della vita di altri, finivano per trovare il sentiero del loro amore nascente, ed era bellissimo, e quella sala era ormai il loro mondo, un non luogo che assumeva dignità e protagonismo nelle loro esistenza sempre più all’unisono: la quarantena aveva offerto un’occasione, un’opportunità altrimenti tutta da

definire e che certamente avrebbe avuto altre declinazioni, altri tempi, mai così intensi, e mai così esclusivi l’uno per l’altra. Chissà se forse il solo caso, in altro contesto, avrebbe concesso altrettanto.

Si amarono sempre più intensamente, e venne così il loro turno, e così smisero i panni dei nonni e si scoprirono, si raccontarono, di loro, delle loro vite, delle loro speranze e del futuro che ogni ragazzo ha il diritto di poter immaginare e sognare. Tuttavia il percorso non fu privo di ostacoli, e quando inevitabilmente arrivavano a ragionare e a dirsi di certi snodi, quando la vita reale incombeva e richiedeva spazio, le cose si andavano facendo più buie, e raffreddavano entusiasmi e palpiti tra i due. Era il recupero della normalità, la vita fuori dalla quarantena, a preoccupare, a richiamare in campo fatti, situazioni e rapporti che, con l’urgenza della realtà, avrebbero irrimediabilmente inciso sul quel legame che tanto saldamente teneva a suo agio, quanto nei limiti non solo logistici del suo stesso essersi creato e sviluppato.

Ellen, fuori da lì, nella vita vera, era ben altra persona, era più grande di qualche anno, aveva già un suo amore, progetti che la scuola e l’accademia d’arte avrebbero reso possibili, mentre per Alex quell’avventura era la sua iniziazione alla vita, mai proiettata oltre, ed era per lui più facile non pensare ad altro, e poter relegare passioni, aneliti e ambizioni ad una condizione di subalternità per lui ancora del tutto naturale. Per Alex se la vita si fosse fermata lì, in quel luogo ormai magico, forse gli poteva stare bene, o almeno così credeva in quel momento, sospinto da una passione nuova e percepita come infinita e immutabile.

Ellen, più matura, più avvezza alle cose e alle relazioni, sapeva che le cose sarebbero state messe alla prova una volta fuori di lì, e spesso questo l’addolorava facendola sprofondare in un pianto disperato, che tradiva quello che forse avvertiva come il finale già scritto, ma che non voleva confessare nemmeno a sé stessa.

Il tempo e le settimane passarono, e per quanto non si fosse trovata una cura al virus, le misure sanitarie si allentarono. La vita era via via ripresa, pur con tutte le cautele del caso, ma comunque, si ritornava alle abitudini e gli impegni di prima, e Alex ed Ellen dovevano riprendere le loro abitudini e ad andare a scuola.

Ne avevano discusso molto e specie Ellen aveva molto rassicurato Alex circa il futuro, spiegandogli come le cose avrebbero potuto non cambiare, che il loro amore avrebbe superato ogni prova della vita reale, che quel luogo sarebbe rimasto il teatro del loro amore, dove avrebbero continuato ad incontrarsi come prima. Erano quelle le frasi e rassicurazioni con cui si lasciavano ogni sera prima di salutarsi: ma ogni sera sembrava tutto meno vero!

Alex, intanto era cresciuto, molto più di quanto immaginabile per quelle sole poche settimane, e intimamente la proiezione dell’immagine di Ellen nella vita reale era collocata sempre più lontana da lui. Sapeva che la sua più giovane età, gli ambienti, e le persone diverse, di lei, i mondi di interesse molto più maturi, di lei, le ragioni stesse per cui mai prima si erano incontrati o considerati, sarebbero state le cause del loro inevitabile “distanziarsi sentimentale”. Quel “distanziamento sociale” e fisico della quarantena, che li aveva tanto uniti, e aveva consentito il loro amore, avrebbe ceduto il passo alle dinamiche di vita vissuta, nelle quali molto più probabilmente Alex non si sentiva pronto e all’altezza della situazione. Quel microcosmo da quarantena aveva avuto un che di protettivo, un grembo, un crogiuolo sentimentale, al riparo da convenzioni, stili e modi di vivere e di relazionarsi, consentendo ai due di essere loro stessi, senza sovrastrutture mentali e sociali, e di darsi quindi l’un l’altro, pur in una sintetica costrizione di fondo che aveva reso possibile il disvelarsi di quello che aveva assunto tutti i canoni di un amore. Il fatto che i due nonni, ma le stesse famiglie, al contempo, fremessero, senza alcun timore, dalla voglia di riprendere le lor vite, faceva molto riflettere Alex circa la specialità del contesto di storia con Ellen, che forse aveva trovato la sua opzione ed arco di esistenza, il suo inizio e fine, solo in quel luogo e in quel tempo singolarmente sospeso.

In quel frangente le parole del nonno, che spesso gli chiedeva di lui ed Ellen, furono di grande aiuto per Alex, nel farlo riflettere e maturare su cosa volesse dire crescere e affrontare la vita, con i suoi meccanismi sociali, i suoi vincoli, le sue opportunità, e soprattutto i limiti esistenziali spesso autoimposti da profondi radicamenti etici e morali che tuttavia rappresentano il senso stesso per cui vale la pena vivere. Parole vere, autentiche, pregne di significati, di insegnamenti, ma che non lenivano più di tanto quel piccolo dolore che si faceva magone dentro l’animo di Alex, sempre più convinto che ognuno ragiona e soffre solo delle proprie vicende, e che il ricordo di quelle degli altri, purtroppo, lenisce solo in quel limitato alveo di memoria.

Riprese la scuola, e i due si diedero appuntamento al portone di casa, per fare un pezzo di strada insieme e riprendere insieme i soliti percorsi.

La notte prima Alex non dormì, ma un senso di serena quiete ormai lo pervadeva, si era detto di essere pronto a qualunque epilogo, e forse in fondo ci credeva, o forse no, ma era utile intanto vederla così. Ellen era stata invece molto più tranquilla e pareva molto più incline a seguire serenamente il volgere delle cose, ovunque li avesse portati, era certamente più matura, ma chissà cosa questo avrebbe comportato nelle scelte. Entrambi comunque, nel profondo, si affannavano a darsi parecchie chanches di durata post quarantena, ma entrambi sapevano di vedere a proprio modo le condotte e le abitudini che avrebbero intrapreso nel nuovo

corso; quanto sarebbero state davvero collimanti e all’unisono, e quanto spazio avrebbero lasciato al loro giovane amore, non era dato prevedere!

Il primo giorno di ripresa della scuola, si videro al portone e si salutarono, entrambi con uno zainetto simile sulle spalle, ma ognuno di loro vi portava dentro metaforicamente il bagaglio di un’esperienza che, con toni e aspetti diversi, avrebbe avuto effetti forse divergenti nelle loro vite, da lì in poi. Sembravano forti, e i loro sguardi si intrecciarono più volte prima di abbassarsi, poi i sorrisi cedettero il passo ad una seria compostezza, quasi rassegnata, come chi va verso una prova dagli esiti incerti e forse infausti. Ma bisognava andare. Le mani si lasciarono e i cuori palpitarono forte!

Eh si, la vita riprendeva, le strade erano da percorrere; se si sarebbero incontrate ancora, nessuno poteva dirlo, almeno non in quel momento.

Salutarsi fu più facile del previsto, sapevano che dopo poche ora entrambi sarebbero tornati lì, nel luogo dove tutto aveva trovato origine, e così per tanti e tanti altri giorni ancora a venire, e fu lieve quindi, nel bacio di saluto, pensare che forse lo stesso tratto di strada avrebbe continuato a percorrerlo, senza sosta, anche quel meraviglioso e intenso sentimento d’amore nato singolarmente in quarantena … insieme a loro!