SAVOLINI Roberta

“Senza ali”

Il dolore di quanto perduto, di quella casa dall’altra parte della strada che era stata dei miei nonni, crollata con tutti i suoi ricordi senza poterla salvare per fare spazio a una nuova e più moderna costruzione, bianco fantasma sempre lì davanti ai miei occhi a urlarmi dentro, senza nemmeno il conforto delle macerie ormai spazzate via, ultimo residuo e amabili resti di una vita spensierata lontana, rese impossibile restare, ancora di più della mancanza di prospettive che un Paese ormai allo stremo offriva, soffocato dalle maglie di un’assurda burocrazia che tutto frenava e una crisi economica che non sembrava mai avere fine.

Non fu facile decidere di andarsene, ma c’era troppo di me lì per trovare pace e conforto in quel poco rimasto e troppe altre cose mancavano.. Dovevo tagliare quel legame doloroso per potere ricominciare a vivere e quindi partii.

Avevo qualche soldo da parte, non molti a dire il vero, quel tanto per affittare una piccola stanza con un bagno e una minuscola cucina i primi tempi, mentre cercavo un lavoro che mi permettesse di sopravvivere in un Paese straniero, bellissimo eppure così diverso dal mio e dove non conoscevo nessuno, a stento ne parlavo la lingua.

Di casa mi mancava tutto, soprattutto mia madre che non aveva voluto seguirmi, legata alla sua terra, ma che sentivo telefonicamente ogni giorno, preoccupata di saperla sola. Mi mancava il profumo dei tigli, dei pini e degli abeti umidi di pioggia che tante volte era distrattamente penetrato nelle mie narici, mischiandosi a quella sensazione di spensierato benessere quando ero più giovane, gli amici, il calore della mia gente (qui la gente era fredda, ti teneva a distanza e non dava minimamente confidenza.. non rideva mai! Almeno non con me.). Mi mancavano i sapori della mia terra. Dov’ero adesso cercavano di riprodurli in qualche ristorante, ma con scarsissimo successo senza gli ingredienti originali.

Ho trovato lavoro in un ristorante come lavapiatti. Non mi dispiace come lavoro, non devo nemmeno parlare tanto, non sono a contatto coi clienti e la lingua così non è un problema, anche se c’è il padrone che ogni tanto allunga una mano e la cosa è alquanto fastidiosa, per quanto cerchi di rimetterlo al suo posto e dargli meno confidenza possibile. Sua moglie quando viene al ristorante mi guarda con sospetto, credo sia gelosa (di me!!! Mi scappa da ridere) e di starle anche un po’ antipatica, solo che guarda nella direzione sbagliata.. dovrebbe guardare un po’ di più in quella di suo marito.

Comunque non viene spesso: hanno un bimbo piccolo e nessuno a cui lasciarlo, perché anche loro sono lontani da casa e dalla famiglia. Sono del mio Paese, ma di quella parte del mio Paese che non mi manca minimamente.

Pensavo di farcela a ricominciare da un’altra parte, ma qui non ho amicizie, la nostalgia di casa buca il cuore e piango tutte le sere. Ultimamente ho perso 4 chili.. quegli stessi chili che a casa ho tanto cercato di perdere, ma non calavano mai, da buona forchetta che sono. Non sono mai stata così in forma, eppure sono distrutta. Dopo sei mesi lo ammetto: è stato un errore madornale andarmene e così decido di tornare. Voglio vivermi mia madre, i miei amici, la mia gente e la mia terra. Forse non è stato neanche un errore. A volte c’è bisogno di perdersi per ritrovarsi, di allontanarsi da tutte quelle piccole cose che sono la tua quotidianità per capire quanto sono grandi. Tornando a casa ho ritrovato me stessa. La vita del migrante non fa per me, io sono come un albero che sradicato dalla sua terra muore, non un uccello migratore.