TEDIOLI Alberta

“Solitudini”

Maria sentì la voce dell’infermiera: dammi il braccio che ti faccio l’iniezione. Ella glielo porse, il piacere di essere assistita e curata superava la preoccupazione che l’intervento fosse andato bene. Tutta questa gente intorno che si prendeva cura di lei la faceva stare bene. Nel pomeriggio sarebbero andati a prenderla alle quattro in punto per fare una lastra di controllo. Ella si docciò con cura, si profumò e indossò il pigiama più bello che aveva. Pranzò, poi si sdraiò in attesa che venissero a prenderla. L’attesa era lunga, ogni tanto scendeva dal letto e guardava in fondo al corridoio. Un bellissimo giovane africano con la barba vestito di verde giungeva veloce verso di lei spingendo una carrozzina : è lei la ragazza Maria? Forza salga, venga con me a fare una bella passeggiata, monta sò Maria!.“Ragazza? Certo, sono una ragazza di ottant’anni!Sono tua nonna” “Magari, qua sto bene ma vorrei tanto stare coi miei parenti, ma, o morir di fame o morir di nostalgia” “Io non ho parenti, ho solo la solitudine che è il vuoto” “Io ho dodici fratelli, cugini amici ma qua sono solo” Intorno a lei gente che stava male, tanto dolore intorno. La Maria guardava i pazienti e i parenti che coccolavano i loro congiunti, portavano fiori e pensierini vari. Lei era sola, nessuno andava a trovarla. Solo il fatto di avere una compagna di camera la faceva stare bene. L’amico africano la salutava allegramente e le dava qualche buffetto sulla guancia. “Che bello sarebbe se tu fossi mio nipote” Così ogni tanto lui la chiamava nonna Maria. I giorni passavano, le terapie funzionavano, il primario in visita, facendole una carezza, disse che aveva una bella notizia: il giorno dopo l’avrebbero dimessa. Maria si fece scura in volto e non parlò. Infilò la testa sotto le coperte e pianse a lungo senza farsi sentire. Il mattino seguente chiamò un taxi che la portò a casa. Quella casa al quinto piano, dove tutti scorrazzavano giorno e notte e in casa sua solo il rumore della tivù. Sentì la solita tristezza, il solito vuoto, di lì a qualche giorno sarebbe scoppiata una pandemia terribile e avrebbero chiesto alle persone di restare chiuse in casa per non contagiarsi di un maledetto virus, sconosciuto e imprevedibile. Per lei restò tutto uguale, la spesa nella botteghina sotto casa e basta. Sentiva attraverso le pareti i vicini che si lamentavano di questa situazione coatta, i bambini piangevano che volevano uscire. Ogni giorno la situazione peggiorava, l’insofferenza aumentava, l’insicurezza pure. Si affacciava dal balcone e sentiva i vicini piangere che la loro attività stava fallendo, o perché non avevano più un soldo, o perché non potevano vedere un genitore anziano lasciato solo; chi pensava fosse una pacchia mai vista riposarsi, prendendo un stipendio e potendo mettere in ordine tutta la casa, cucinare, vedere film anche due o tre al giorno, leggere tutta la pila di libri messi da parte da una vita, cazzeggiare sui social. Maria si sentì ancora una volta fortunata come quando era in ospedale, lei tutti questi problemi non li aveva, accettò il suo stato con rassegnazione, l’unica terribile paura era quella di riaffrontare la normalità.