14 Ottobre 2015

UN’ÈQUIPE PER PERCORSI PERSONALIZZATI

Come lavora la cooperativa Persone in movimento di Ravenna con rifugiati e richiedenti asilo.

Persone in movimento è una cooperativa ravennate attiva dal 2008 che si occupa di accoglienza e tutela dei migranti. Abbiamo parlato con Valentina Bellotti (vicepresidente e psicoterapeuta) e Linda Caka (responsabile accoglienza). Entrambe le cooperanti curano diversi aspetti dei progetti in cui è impegnata la cooperativa (Lunatica, InVisibile, SPRAR, tanto per citarne alcuni).

Come sono e dove si trovano le strutture in cui ospitate i richiedenti asilo?

«Noi collochiamo beneficiari appartenenti a diversi progetti. Abbiamo richiedenti asilo e rifugiati politici, che hanno già lo status per il progetto Sprar. Ci occupiamo del progetto profughi della prefettura e abbiamo anche vittime di tratta e sfruttamento sessuale lavorativo. Queste categorie di persone vengono ospitate in appartamenti di 2, 5 o 7 unità. Crediamo molto nella filosofia della micro accoglienza, metodologia che secondo noi favorisce le politiche di integrazione. Ravenna ha sposato questo tipo di progetto fin dal 2000: gli appartamenti sono in città, dalla prima periferia, alla zona Gulli a quelle più centrali. Fare micro accoglienza in un condominio significa favorire l’integrazione, il rapporto con la diversità e la riduzione dello stereotipo».

Quante persone ospitate al momento? Da dove arrivano principalmente?

«Al momento gestiamo circa 120 persone spalmate su tre progetti. Non siamo quasi mai a pieno regime perché le persone non rimangono con noi per periodi di tempo standard. Ognuno ha bisogni differenti. Grazie alla micro accoglienza, l’impatto con l’emergenza e la sensazione di essere invasi vengono ridimensionati. Questo è un elemento importantissimo perché viviamo in un momento di grande stress mediatico che favorisce il razzismo. I nostri ospiti arrivano da Africa centrale, Senegal, Bangladesh, Pakistan. Ultimamente, a causa dei mutamenti politici, arrivano molte persone dal Gambia. In questo caso si tratta di un nuovo tipo di immigrazione. Anche i nigeriani sono diventati numerosi: dopo una prima ondata migratoria in Libia, al momento sono diretti in Italia».

Quanti operatori lavorano con voi? Sono sufficienti a coprire il numero di ospiti che accogliete?

«La cooperativa è strutturata in aree di competenza integrate. Ognuna di esse segue il beneficiario dal momento in cui arriva a quello in cui esce dal progetto. Il percorso di una persona all’interno dell’accoglienza deve prevedere momenti diversi che spaziano dall’ambito psicologico, pratico (alfabetizzazione o gestione

della casa ad esempio), fino all’occupazione (capire se l’ospite aveva una professionalità nel paese di provenienza). Non tutti gli operatori hanno le stesse competenze, ma grazie al lavoro di equipe si possono personalizzare i progetti. Per quanto riguarda l’accoglienza, il rapporto è un operatore per una ventina di beneficiari, i quali non sono tutti allo stesso livello di autonomia, per cui gli operatori non sono concentrati allo stesso modo su tutte le persone».

Come si svolge il lavoro dell’operatore che si occupa di accoglienza?

«Gli operatori vanno quotidianamente negli appartamenti ma non rimangono con gli ospiti 24 ore su 24. Ognuno è libero di gestire il proprio tempo, il proprio cibo. L’operatore supervisiona la struttura e fa da collante in caso di conflitti con i condomini. Si tratta di un lavoro di mediazione sociale, svolto a un livello doppio in cui si educano le due parti (beneficiario e condomini) per evitare conflitti. Grazie a questo lavoro, non abbiamo mai riscontrato forti episodi di razzismo».

Riuscite a fornire i generi di prima necessità a tutti in tempi congrui? Rimborsate a tutti e per intero le spese amministrative e le spese mediche?

«I beni di prima necessità vengono forniti subito. Il “kit di benvenuto” con biancheria e lenzuola è un bel modo per accogliere chi arriva da condizioni di viaggio difficili. Noi ci assumiamo la responsabilità di tutte le spese mediche e del rinnovo dei documenti. L’assistenza sanitaria viene fornita attraverso il sistema sanitario nazionale e non è un servizio erogato perché siamo “buoni” nei confronti dei migranti, ma perché l’Italia ha scelto di avere un sistema di sanità pubblico. Se l’ospite lavora (tirocinio o borsa lavoro), contribuisce alle spese e smette di essere completamente a nostro carico. Le spese vengono rimborsate al 100 percento. Spesso gli ospiti anticipano la somma da spendere, ma questo rientra in un processo educativo e di responsabilizzazione della persona».

Quanto costa davvero un richiedente asilo?

«Bisogna abbandonare la mentalità del soldo e dell’individualismo. Con i “famosi” 35 euro si mette in piedi un sistema di accoglienza che costa. La casa, l’alfabetizzazione, la mediazione culturale hanno un valore. Noi offriamo servizi, non soldi, ai beneficiari. Come cittadini dobbiamo avere il senso dell’appartenenza e capire che quel denaro investito per l’accoglienza ritorna alla società attraverso la partecipazione dei richiedenti asilo alla vita sociale. Vorrei aggiungere che questo sistema crea occupazione. Quindi dobbiamo considerare anche gli stipendi degli operatori. Facciamo business? Beh, in un certo senso sì. Se voglio immigrati capaci di inserirsi nel nostro paese, ho bisogno di persone preparate che lavorano in questo campo. Ovviamente non diventiamo ricchi: siamo una cooperativa sociale che rispetta i contratti nazionali e offre l’opportunità di lavorare».

di Veronica Rinasti

Tratto da Città meticcia, giornale interculturale

Num. 55, ottobre 2015

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